1° Maggio, Festa dei coglioni: Mentre i sindacati vanno a braccetto coi capitali, le loro vittime sventolano bandiere al “Poor Pride”

Collage satirico sul Primo Maggio con sindacalisti e attivisti radical chic – rubrica Za Sovjetsko de Il Medio
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di Laško Velik
“Lavoratori di tutto il mondo, sputategli in faccia.”

Landini & Co. sfilano in nome del popolo, ma vivono da aristocrazia. I centri sociali? Milionari in felpa che giocano a fare la rivoluzione tra una canna e una story. Il Primo Maggio è diventato il carnevale dei falsi compagni. E noi gli tiriamo merda.

ATTENZIONE:Questo articolo contiene linguaggio e opinioni in linea con lo stile e la linea editoriale de Il Medio. Se ti senti offeso, rivolgiti pure al tuo sindacalista di fiducia: probabilmente è in riunione… con Confindustria.

Compagni miei, ex operai, fantasmi rossi dispersi nella nebbia del capitale: oggi è il Primo Maggio. La chiamano “Festa del Lavoro”, ma è diventata la Festa del Lavoratore Inculato, la sagra dei sindacalisti in giacca sartoriale che predicano il salario minimo mentre si fottono pensioni d’oro, benefit da boiardi e auto aziendali che neanche uno zar di Gazprom.

Landini. Il mio stomaco si rovescia solo a scrivere quel nome. È il prototipo del verme da palco, parassita travestito da compagno, che ha seppellito l’idea di classe sotto tonnellate di retorica pseudo democratica e compromessi con i padroni. È un buffone. Ha svenduto più diritti lui di quanto abbia fatto la Thatcher. E non da solo, attenzione. Con lui c’è l’intera nomenklatura sindacale, quei bastardi che fingono di difendere gli ultimi mentre trattano solo i loro prossimi contratti da europarlamentari o assessori regionali.

I sindacati oggi non rappresentano il popolo, rappresentano se stessi. Si mettono la camicia rossa e vanno in piazza col megafono, ma quando torna il silenzio se ne vanno a casa su SUV ibridi da cento fottuti mila euro, parcheggiati in tripla fila fuori dal ristorante bio di fiducia. Chi li paga? NOI. I pochi lavoratori veri rimasti, dissanguati da tessere, contributi e illusioni.

 

E poi ci sono loro: i guerrieri dei centri sociali. Ah, che spettacolo. Con le bandiere rosse di cui non capiscono un cazzo, gli slogan da Che Guevara del discount e le molotov nello zaino di marca. Vengono al Primo Maggio perché fa figo. Figli di papà con la carta di credito, abbigliamento tecnico da 2.000 euro e un’educazione sentimentale fatta di Netflix e benzodiazepine.

Quando va bene trasformano una manifestazione per il lavoro in una rissa contro Israele (perché fa tanto “rivoluzionario”); quando va di merda, fanno solo casino per poter menare la polizia, sperando in una manganellata da postare su Instagram con #solidarietà. Poi li fermano e dentro gli zaini trovano più droghe che in un rave bielorusso.

La verità è questa: non c’è più lotta di classe. C’è farsa di classe. Il Primo Maggio è diventato uno zoo ideologico dove ognuno sbandiera le sue ipocrisie. E la classe operaia? MORTA. Sepolta sotto i debiti, i turni da 12 ore e i contratti a chiamata. Nessuno la rappresenta più. Di certo non chi ha fatto carriera banchettando grassamente sulle carcasse dei loro diritti, di sicuro non chi si mette la kefiah solo per fare la foto da ribelle sputando sulla memoria di chi è morto per combattere contro quelli che, cento anni fa, avevano il loro stesso nemico.

Io il Primo Maggio lo onoro come lo onorava mio nonno partigiano jugoslavo: con una bottiglia di rakija, il ritratto di Lenin sul muro e il fucile pulito in grembo. Perché il lavoratore non si difende con i selfie o con le chiacchiere da palco. Si difende con la lotta vera, quella che oggi nessuno ha più il coraggio di fare. Soprattutto quelli con la macchina da cento mila euro e il culo al caldo in segreteria nazionale.

Za radničku čast!
Per l’onore operaio, sputiamo su questa buffonata.

 


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